Roberto Piperno

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Sono nato a Roma e la prima casa nella quale sono vissuto era in Via Mirandola nel quartiere tuscolano.

Il terrazzino della cucina si affacciava sul piazzale di manovra della stazione Tuscolana.

Mia madre mi ha raccontato che le prime pappe le prendevo su quel terrazzino e seguivo con interesse il vaevieni delle piccole vaporiere in manovra (GR 835 direi oggi…).

I primi treni che ricordo però non erano elettrici, ma di latta con un meccanismo a molla, e correvano sul pavimento.

Erano formati da una locomotiva con il tender che tirava una o due carrozze; erano scatolate, ed il materiale con cui erano fatte si chiudeva con delle linguette ad incastro con le quali devo essermi tagliato varie volte.

Oggigiorno simili giocattoli verrebbero sequestrati immediatamente, ma all’epoca (immediato dopoguerra) non si guardava tanto per il sottile.

Ho detto che correvano sul pavimento; mi piacerebbe dire che era per il mio innato senso di libertà ma la verità era che le rotaie erano fatte dello stesso esecrabile materiale e dopo un po’ si storcevano, gli incastri non andavano più bene e diventavano inutilizzabili.

Il primo treno elettrico arrivò poco tempo dopo. Era Rivarossi con una locomotiva tipo 626 rossa bordò (chissà perché) ed un paio di carrozze verdi più un ovale di binari.

C’era anche un regolatore che era una scatola di bachelite nera con una manopola graduata in cima ed una levetta da una parte che invertiva il senso della marcia.

Giocai con quel treno per qualche tempo, poi due notizie folgorarono il mio cervello da bambino; il treno stesso andava a 12 volt e la corrente di casa era 125.

Il pensiero “Se corre tanto a 12 volt come andrà a 125???” attraversò la mia mente.

Detto fatto avvicinai l’ovale dei binari al muro, presi i due spinotti della rotaia e li infilai nella presa di corrente……La locomotiva fece un salto in alto di una decina di centimetri e con essa saltò tutto l’impianto elettrico di casa.

Mio padre provò a farla riparare ma fu tutto inutile e quella locomotiva volò dalla finestra il Capodanno successivo. (allora si usava fare così….).

Così finì il mio primo treno.

Il successivo non tardò molto.

Cambiammo casa per una più grande ed il giorno della Befana del 1954 rimarrà indelebile nella mia memoria.

La mattina mio padre mi portò in un negozio e scegliemmo insieme il mio primo vero treno.

Comprammo una locomotiva americana con il muso grigio, alcuni carri merci americani ( ricordo fra gli altri con piacere un carro bestiame giallo, un caboose rosso ed uno grigio con una gru sopra, un carro cisterna SHELL) due scambi per un binario di sosta comandati da una scatoletta rossa (allora non lo sapevo ma Rivarossi avrebbe mantenuto lo stesso sistema per oltre venti anni).

Comprammo anche un signor trasformatore marca “Trix Express” perché, a detta del commerciante, di qualità notevolmente superiore; effettivamente era di metallo e pesava tantissimo.

Ma quello che ricordo di più fu la stazione.

Era la stazione del Gottardo, non c’erano ancora le scatole di montaggio in plastica, questa era tutta di legno già rifinita in maniera eccelsa, addirittura anche all’interno del grande androne, ed illuminata da tre lampadine Faller (quelle con tre piedi di plastica ancora presenti nel catalogo….).

Ricordo ancora la perfezione di alcune aiuole fiorite all’esterno, e devo confessare che nella mia lunga vita di modellista, nelle varie mostrescambio frequentate, di aver coltivato la speranza di ritrovarla; sarei stato disposto a spendere una cifra ma non l’ho più vista.

Questo treno che mi ha accompagnato per vari anni purtroppo non ebbe mai un suo posto.

Veniva montato sul pavimento del salone alla mercè degli umori di mia madre che ogni tanto pretendeva di riavere il salone libero.

Fu anche implementato ulteriormente con l’acquisto di un paio di semafori e di una E636 che si incrociava con la locomotiva americana (non mi facevo allora problemi di luoghi ed epoche….).

Provai anche ad alimentare la 636 con la linea aerea acquistando una decina di pali ed il filo di contatto.

Sforzo assolutamente inane, se si ricordano i binari Rivarossi dell’epoca…

I pali avevano dei morsetti di metallo nei quali si dovevano incastrare le traversine, le quali erano in fibra e piuttosto cedevoli; risultato erano più quelle che si rompevano che quelle che andavano a posto.

Ho passato con questo treno molto tempo lieto ma un poco per la seccatura di doverlo ogni volta rimontare e molto perché altri interessi cominciavano ad evidenziarsi, piano piano passò nel dimenticatoio.

La scoperta dell’altro sesso, interessi nuovi che il progredire degli studi apportava, le comitive di amici, la scoperta di nuovi hobbies  e più tardi il lavoro, la ricerca di un posto proprio nella società, il matrimonio, la famiglia fecero sì che i treni assumessero un valore sempre più secondario nella mia vita.

Non del tutto però.

Ad esempio verso i quindici anni cominciai a frequentare una palestra in Piazza Indipendenza; era della Y.M.C.A (allora dicevo “imca” e non “uai-em-si-ei” come imparai più tardi grazie alla canzone dei Village People).

Per andarci dal nostro negozio di Piazza Vittorio passavo sempre per la stazione Termini.

Qualche anno più tardi non sarebbe stato più possibile a causa del degrado subito dalle nostre stazioni per tanto tempo.

Purtroppo già non si vedevano più locomotive a vapore ma ricordo 636, 646, littorine, eleganti elettrotreni rigorosamente in color castano ed anche le prime Tartarughe.

Causa orari non coincidenti raramente mi capitò di vedere il mitico “Settebello” ma ebbi l’opportunità di viaggiarci sopra fra Bologna e Roma. Ancora ricordo la incredibile visuale che si godeva dal “belvedere” che era il salottino in testa al convoglio.

Ancora oggi penso che la bellezza di quel treno sia rimasta ineguagliata.

Ricordo anche alcuni viaggi fatti in vagone letto. Mio padre, come aveva qualche giorno libero, andava a passare qualche giorno a san Remo e qualche volta ha portato anche me; treno della notte per Marsiglia, tre carrozze CIWL di cui due blu di legno ed una in acciaio inox corrugato (tutti modelli Rivarossi) che avrebbe dovuto essere la più moderna del lotto, e che mio padre cercava di evitare con cura perché secondo lui era “Il paese dei campanelli” tanto era rumorosa.

Poi come ripeto la vita, la famiglia, “gli impegni che altri hanno preso per te” parafrasando una famosa canzone, fecero calare un lungo periodo di eclisse che durò ahimè qualche decennio.

Nella mia maturità, alcuni anni fa ritornò prepotente il desiderio dell’hobby e cominciai a ricomprare il mio treno. Avevo una famiglia nella quale ognuno pretendeva i suoi spazi e quindi io non avevo il “mio”, ragion per cui cominciai con la scala N anche perché fin d’allora capii che un plastico per casa sarebbe stata una utopia.

Debbo aprire una parentesi; ho l’animo e le pulsioni del collezionista e quindi devo avere tutto quello che si può acquistare.

Avevo già una bellissima collezione in N, fatta soprattutto di modelli tedeschi e svizzeri (ferrovie per le quali mi sento portato) quando un po’ di tempo dopo mi capitò per le mani un modello H0.

Fu amore a prima vista e cominciai a fare una cosa che negli anni ho ripetuto varie volte; rigirai completamente la collezione; iniziai la mia collezione di modelli H0 questa volta italiani.

Alcuni anni più tardi, deluso dal parco vapore fuoriscala, (difetto che è ancora purtroppo presente) rivendetti tutto e cominciai a collezionare in H0 quello che anni prima avevo collezionato in N.

Ora sono felice possessore di una ricca collezione, 90% della quale Marklin, ma anche di altri produttori con adattamenti vari per girare su 3 rotaie

E il plastico?? Gli ultimi anni non sono stati particolarmente felici, e dopo un periodo denso di vicissitudini da circa 2 anni ho finalmente una casa mia con la stanza adatta a ricevere il mio impianto.

Ci sto pensando……Lo faccio da più di venti anni!!!!!.......

 

 Roberto  ropipe@fastwebnet.it