Enrico Gallino

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Presentazione personale

Nasco come “Märklinista” a Genova nel 1966 quando, sotto l’albero di Natale, trovo una locotender Br89 (art.3000), una cisterna Shell (4502), una tramoggia con vasca ribaltabile rossa (4513), un vagone a bordi bassi (4503) ed un carro per trasporto banane (4509), oltre, naturalmente, al materiale necessario per realizzare il classico ovale.

L’anno successivo chiedo, ed ottengo, come regalo di promozione per aver superato “brillantemente”  l’esame di seconda elementare, la Br.01 (art. 3048) completa di dispositivo fumogeno. Il mio primo acquisto, frutto dei risparmi accumulati, è, nel 1968, l’E94 (art. 3022), mentre, l’anno successivo, mi venivano regalati, in occasione della Prima Comunione, il diesel V160 (art.3075) ed il mitico Coccodrillo (art.3015). Da allora è passato certamente molto tempo e comunque il Virus Märklin, come lo chiamo io,  si è trasformato nella più “sana delle malattie”, che per me è diventata “incurabile”. Ho continuato nel corso degli anni ad acquistare materiale, compatibilmente con le mie disponibilità finanziarie di studente prima e di padre di famiglia dopo. Ad oggi la mia collezione è costituta da oltre 300 locomotive e, credo, almeno 200 vagoni (è parecchio che non faccio l’inventario) tutto rigorosamente schedato su fogli excel  (Vapore, Diesel, Elettriche, Automotrici, Confezioni, scatole di montaggio, Vagoni M., Vagoni P. ecc.ecc.) e, per ogni categoria, riportando le caratteristiche seguendo, a grandi linee,  lo schema (N. catalogo, n. variante, Rodiggio, Materiale, luci, tipo gancio, tipo pantografo, scritte, particolarità) del Koll’s (la nostra bibbia). Posseggo inoltre tutti i cataloghi dal 1966 ad oggi ed i Märklin Magazin dal 1977 ad oggi. Dal 2000 sono diventato socio Insider tenendo, manco a dirlo, tutte le pubblicazioni sino ad ora uscite e le tessere d’iscrizione. Insomma sono affetto da Märklinite allo stadio terminale.

Come ogni Märklinista sono un po’ strano, nel senso che pur restando affascinato da ogni treno, reale o in miniatura, che vedo passare, dovendo scegliere preferisco certamente il materiale rotabile tedesco: cosa c’è di più bello di una 44 che traina un treno di cisterne? E quando mi capita di trovare i video di plastici su Youtube, li guardo tutti molto volentieri, soprattutto se nel centro del binario ci sono i “dentini”….

 

 

Il mio plastico

Per quanto riguarda, invece, la realizzazione dei plastici, sono partito con il primo, se si può considerare plastico, all’età di 8 anni realizzato utilizzando la “carta roccia” e le casette, in sughero e/o cartone, del presepe. A 12 anni, grazie all’aiuto di mio zio, Märklinista anche lui (il suo plastico è su Youtube: Plastico Märklin genovese), ho realizzato un doppio ovale con, all’interno, scalo merci e Deposito Locomotive con Piattaforma girevole, erba (la vecchia segatura colorata incollata con vinavil) e qualche casetta.

 Successivamente, sempre in cantina, ho, negli anni del Liceo, costruito il plastico che, grazie anche all’incoraggiamento dell’amico geom. Giuseppe Mutolo, collaboratore di Italmodel Ferrovie, è stato pubblicato sulla rivista nel giugno del 1979. Nello stesso anno ci trasferivamo da Genova a Viareggio ed il “plastico in cantina” trovava posto nell’ampia mansarda della nuova casa. Per motivi di spazio venne poi smontato  definitivamente, recuperando tutto il possibile (come si vede paragonando le foto), senza peraltro abbandonare l’idea di realizzarne un altro. Cosa che avvenne puntualmente diversi anni dopo, nel 1989, quando, terminati gli studi universitari ed acquisita una certa “indipendenza economica”, abitando ancora con i miei genitori, mi fu concessa una parte della taverna. La realizzazione del nuovo impianto (4,80x1,20mt.), che sfruttava al centimetro lo spazio disponibile, era frutto di “attenti studi” delle varie pubblicazioni (in mio possesso)  Alba, e Märklin (Bern Schmidt) e di libri fotografici sulle ferrovie tedesche (ad es. Die DB Heute, ed. Franck), doveva rispettare alcuni canoni: ponte ad arco, piccolo DL, evitare di avere una stazione “affogata” tra due gallerie, ed un parte visibile di linea prima dell’ingresso in stazione. Seguendo i preziosi consigli del mitico Schmidt (Märklinbahn + Landschaft e Märklinbahn mit pfiff) ho quindi realizzato una struttura a listelli su cui veniva installata dapprima la parte ferroviaria e, successivamente, costruito il paesaggio. L’impianto era rigorosamente analogico e rappresentava una linea secondaria non elettrificata della Germania meridionale. Nella costruzione, nonostante l’uso del binario M, ho cercato di essere il più fedele possibile alla realtà, riportando anche i dettagli più minuti come, ad esempio, all’ingresso del “Gasthaus Zur Eisenbahn”, i simboli delle carte di credito accettate o, nel giardino della birreria, il classico albero di ippocastano (“non è un vero biergarten se non c’è un albero di ippocastano”, tuonò la guida durante una visita a Monaco di Baviera). Il resto lo ha fatto molto spesso la fantasia e “l’arte di arrangiarsi” tipica di ogni fermodellista. Molti anni dopo ho ceduto al digitale, quando, regalando per Natale il “Ludmilla” ed una mobile station 1 al mio secondo genito (anche lui infettato dal virus della Märklinite) ho constatato le potenzialità offerte dal sistema. In realtà la digitalizzazione del plastico ha riguardato solo la trazione, infatti la parte scambi e semafori, trattandosi di uno schema relativamente semplice e non molto difficile da gestire, può essere mantenuta in analogico. Discorso diverso è per esempio per il plastico di mio zio che ha una stazione (replica di Genova P. Principe) con 98 scambi, lì si va di  “memory” per i vari instradamenti.

Ritornando al mio plastico, ho utilizzato 1 control unit (6021), 3 control 80f e 6 trasformatori tradizionali per l’alimentazione, apprezzando soprattutto i decoder della seconda generazione che consentono di mantenere una velocità costante in salita e discesa. Certamente l’M non è il massimo come binario da utilizzarsi con il digitale, soprattutto se si considera che ci sono tratti  i cui binari appartengono all’ovale del 1966 e quindi qualche “traversia” l’hanno subita. Spesso sono tentato dall’idea di sostituire con il bellissimo K tutto il tracciato, ma tre sono gli handicap che vedo: le geometrie degli scambi che non rispettano i deviatori serie 5100, il fatto che, di conseguenza, dovrei spostare i semafori ad ala le cui bobine sono incassate e, conseguentemente, il tempo che resterei con il plastico inutilizzabile, cioè anni.

In conclusione: mi tengo quello che ho, arrabbiandomi tutte le volte che le loco digitali si “impuntano” (problema insistente con l’analogico) perché il binario, pur essendo allineato, non è, evidentemente,  perfettamente livellato. Se mai dovessi decidere d’intervenire provvederei a sostituire con altri binari M nuovi i tratti dove più frequenti sono gli “impuntamenti”, anche in considerazione del fatto che nel corso degli anni ho “accumulato” altri 30 mt di binario e oltre una ventina di scambi (in gran parte cerchio 5200).

Purtroppo ultimamente il tempo è sempre meno e, altro handicap, non ho il plastico in casa, bensì in ufficio (nel frattempo spostato da casa dei mei genitori). Lo vedo quando entro, quando esco, ma purtroppo non ho mai il tempo di fermarmi se non quando, durante la pausa caffè, magari penso per un momento a quello che vorrei fare, alle migliorie, alle modifiche, insomma… sogno ad occhi aperti.

         

        

     

Le bacheche

Credo che sia il desiderio di molti poter vedere la propria collezione di modelli, grande o piccola che sia. Almeno, per me è stato sempre così, soprattutto quando, smontato il “Plastico in cantina”, che nel frattempo era diventato il “plastico in mansarda”, ero in evidente stato di astinenza da treni. Ho comunque sempre cercato di acquistare le loco che uscivano di produzione annualmente o quelle in serie limitata (non tutte, purtroppo) e quando proprio non ce la facevo più, mi mettevo a fare progetti per realizzare la bacheca ideale: sufficientemente capiente, non invasiva, ma, soprattutto, a prova di polline. Già perché in commercio avevo sempre visto le classiche vetrinette a ripiani chiuse con i vetri scorrevoli (orrore!!!). Non mi sono mai piaciute (non me ne voglia chi le possiede) e, soprattutto, non erano a “tenuta stagna”.  Così, a forza di ragionarci, un giorno i corvi del cappello (stile Archimede pitagorico di “Disneyana memoria”) si sono messi a gracchiare: Eureka, l’idea mi era venuta. La realizzazione è stata piuttosto semplice, affidata a Livio, un mio amico falegname che quando sente la mia voce al telefono… trema per timore di ascoltare le mie richieste (è lui che mi ha fornito il materiale per il telaio del plastico, mi ha aiutato a traslocarlo, mi ha fatto i listelli sagomati per il riempimento tra i binari della stazione e dello scalo merci). In realtà si tratta dell’uovo di colombo: nessun vetro scorrevole, ma un unico vetro “incorniciato”. La cornice, poi, fissata con cardini sfilabili (di indubbia praticità quando si deve riempire o svuotare la bacheca) alla parte superiore del telaio. Tra la cornice del vetro ed il bordo del telaio, proprio per evitare anche il minimo granello di polvere, ho messo la guarnizione parafreddo in gomma morbida con profilo a E. Insomma i miei modelli (purtroppo non tutti) sono nelle bacheche da oltre 30 anni e non ho mai dovuto spolverarli. Altro accorgimento adottato è stato quello di chiedere al pazientissimo Livio di fare degli intagli sui montanti e nella parete di fondo atti ad alloggiare i ripiani in vetro dello spessore di 6 mm. Con tale sistema ho evitato le mensoline che reggono i piani e che, sinceramente, non ho mai trovato particolarmente “affascinanti”. La parte interna è stata realizzata semplicemente rifinendo a gesso il legno. Sul bianco ogni modello risalta in maniera impeccabile. Il risultato è stato quello di una sorta di quadro riempito di locomotive, con un aspetto lineare, pulito e privo di “orpelli”.

        

Mi rendo conto che i più giovani sorrideranno pensando: “ma guarda questo… se va su internet sai quante ne trova”, certo, è senz’altro vero,  ora si trovano vetrine di tutte le misure e, soprattutto, a “tenuta di polvere” , ma oltre trent’anni fa….

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